Non ricordo neppure un autunno nella mia infanzia che io non abbia trascorso con mia nonna nella selva, come la chiamava lei, senza bisogno di altri identificativi.
La selva di Casanova, un piccolo castagneto tenuto come un giardino zen, dove la aiutavo a rastrellare le foglie e i cardi, ad ammassare le sterpaglie da bruciare e naturalmente a raccogliere le castagne. E queste ultime non è che le si potesse raccogliere così, a casaccio: ogni tipo di castagna aveva la sua destinazione. Quindi c'erano le marone (i marroni) e i mondaioli, le castagne più pregiate, da separare per preparare ad esempio le caldarroste. Certo, a ben guardare mia nonna le separava anche tra di loro, e sapeva dirmi con certezza se la castagna che tenevo in mano fosse caduta da un albero di marroni o di mondaioli, ma vi confesso che ad oggi non mi risulta facile distinguere le une dalle altre. È un peccato veniale, però, dato che sono davvero così simili, entrambe col culetto a strisce...Prometto che recupererò le diverse varietà e ne parleremo ancora. Devo impegnarmi di più: è un sapere che non può andare perduto. Dopo quello nel bosco, veniva il tempo delle mondine, le caldarroste, preparate sul camino. Ci credete che mia nonna le faceva ogni sera? Beh, anche di questo ci sarà occasione di parlare ancora. Gran parte delle castagne raccolte finiva poi nel metato per l'essiccazione ed era quindi destinata a diventare farina. Quante cose ci sarebbero da dire sul metato, a cominciare dal profumo che si sente passando vicino ad un metato acceso... Un profumo molto simile a quello che riempie la cucina quando si prepara una polenta dolce o quando in forno c'è un castagnaccio sulla cui superficie si stanno aprendo le famose crepettine che ci dicono che è cotto. E comunque chi l'ha detto che il castagnaccio è un dolce invernale?
Certo, finora vi ho parlato di autunno e la farina di castagne è pronta all'inizio dell'inverno: non c'è dubbio che la compagnia di una camino acceso sia perfetta per caldarroste, polenta di castagne, frittelline di castagne, necci e castagnaccio, appunto. Ma lo avete mai provato con la ricotta? E con due palline di gelato alla crema? Beh, io non vi ho detto niente, eh!
Il castagnaccio in foto l'ho preparato con la farina che mi ha regalato un'amica di famiglia. In verità l'ha regalata a mia mamma, ma l'ho ereditata in quanto primogenita. Viene da Villa Soraggio, un paesino abbarbicato alle pendici del Parco dell'Orecchiella dove si parla un dialetto talmente localizzato che chi abita appena qualche km più in là non è in grado di capirlo. Pensate a quanto dovevano essere irraggiungibili questi paesini un tempo per diventare isole linguistiche. La lingua del cibo invece è più trasversale e questa farina di castagne ne parla una squisita, perfettamente comprensibile anche a chi non capisce il soraggino (così si chiama il dialetto di quel paese).
La ricetta
- farina di castagne: 300 g
- acqua q.b.
- sale:1 pizzico abbondante
- olio EVO: 5 cucchiai
- rosmarino
- uvetta: 90 g
- pinoli: 50 g
- noci: qualche gheriglio
Ammollate l'uvetta in poca acqua tiepida. Nel frattempo setacciate la farina (per evitare che si formino grumi) in una ciotola piuttosto ampia, unite il sale, quattro dei cinque cucchiai di olio, quindi acqua quanto basta per ottenere un impasto piuttosto liquido.
Versate quindi l'impasto in una teglia dai bordi bassi che avrete precedentemente unto con il cucchiaio di olio rimasto.
Personalmente preferisco un castagnaccio basso e croccante, anche più sottile di quello che vedete in foto, per cui vi consiglio una teglia abbastanza ampia.
Aggiungete l'uvetta strizzata, cospargete quindi con i pinoli e le noci e distribuite sulla superficie il rosmarino e qualche strisciolina di buccia di arancia.
Infornate a forno caldo a 190 gradi: quando sulla superficie si formeranno de piccole crepe, il castagnaccio sarà pronto per essere gustato.
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